Pterapogon kauderni, scoperto e descritto da F. P. Koumans nel 1933, è un piccolo pesce tropicale dai colori dorati e con striature argentee e nere, che è ritornato in molti acquari, e quindi ad una conoscenza comune, nel 1997.Prima di passare alla mia esperienza nel riprodurre questo simpatico e grazioso pesce, voglio proporre un’analisi della grande famiglia degli Apogonidi cui appartiene Pterapogon kauderni.
Gli Apogonidi sono un gruppo di duecentosette specie di pesci marini suddivise in ventidue generi diffusi in tutti e tre gli oceani e nei mari tropicali e subtropicali. La forma tipica del corpo è tozza e corta oppure magra e allungata (secondo la specie): circa sette-dieci cm di lunghezza (venti cm in alcune specie). Piccoli pesci, dunque, ma con grandi occhi e una bocca che occupa i 3/4 della testa. Inoltre: due pinne dorsali (la prima con raggi più robusti), peduncolo caudale stretto, coda biforcuta. Sono predatori notturni e per questo durante il giorno preferiscono nascondersi tra le rocce o i coralli.Come possiamo leggere nella scheda ilPterapogon kauderni, comunemente chiamato “pesce cardinale”, all’inizio non è facile da gestire né pensare ad una sua riproduzione in vasca con successo. E invece sono qui a testimoniare che l’impossibile è avvenuto e racconto la mia esperienza che risale ad otto anni addietro e che fu pubblicata dalla rivista di acquariologia “Il mio acquario” (n. 23, agosto 2000).
L’avventura comincia il 31 gennaio del 1997, giorno del mio compleanno. Mio fratello mi voleva regalare una coppia di pesci e per questo, da Castellammare di Stabia dove risiedo, ci recammo insieme in un negozio di Napoli di cui ero già cliente. Nella scelta mi è stato molto utile l’aiuto di Nino Sommaripa (Nikkio), il quale mi disse che in negozio erano arrivati alcuniPterapogon kauderni. In questo gruppetto di una decina di pesci io e Nino notammo che il comportamento di un paio di loro era alquanto strano: si appartavano e si muovevano come in una danza. Intuimmo entrambi che era una coppia, quindi li acquistai. Da quel momento mi sono imbarcato in un’impresa che a quel tempo era “titanica”, visti gli scarsi successi per la riproduzione di pesci marini, anche perchè la tecnologia e la disponibilità di mangime vivo è sempre molto scarsa. Infatti, per portare avanti la prima nidiata ci sono voluti parecchi tentativi, anche perchè in quel periodo facevo il militare e mio padre non aveva né la pazienza né il tempo da dedicare alla vasca.
A settembre del 1998 il primo successo. La coppia una sera cominciò una strana danza, avvicinando i ventri e dispiegando le pinne: capii che quella curiosa cerimonia era un corteggiamento preparatorio all’accoppiamento, che, infatti, avvenne dopo circa due ore in una zona molto appartata dell’acquario. La femmina rilasciava le uova e il maschio le fecondava e le prelevava nella sua cavità orale.
Durante tutto il periodo d’incubazione orale il maschio non si cibava per niente e dimagriva, ma lui da buon padre non demordeva e custodiva il futuro del suo “programma genetico”. Dopo circa venticinque giorni d’incubazione orale, il maschio era pronto per dare alla luce i piccoli, che ad un’attenta osservazione s’intravedevano nella bocca di poco aperta nell’atto respiratorio. Decisi quindi di metterlo in una nursery di tulle e nella mattinata successiva, all’alba, il maschio rilasciò ventisei piccoli di Pterapogon, tutti uguali a papà, mi venne da dire quasi che fossero figli miei.
I piccoli appena nati misuravano circa cinque millimetri di lunghezza. I valori chimico-fisici della mia vasca erano: T = 25°C; pH = 8,2; KH = 8; Ca = 440 ppm; NO3 = 10 ppm; NO2 = assenti; PO4 > 0,01 ppm.Dopo un paio di giorni cominciai a nutrire i piccoli con naupli di artemia salina appena schiusi, e questo per ben otto volte il giorno. Dopo un po’ di tempo ho notato che con questo tipo di alimentazione monotona mostravano problemi neuromuscolari. In pratica una volta tirati fuori dell’acqua della nursery e messi nella vasca di accrescimento, morivano all’istante per blocco respiratorio. Cominciai, quindi, a spulciare la letteratura specializzata italiana e straniera e a vedere cosa dicevano nel merito. Il problema, a quanto appresi, era inerente ad una scarsità di acidi grassi polinsaturi nei naupli di artemia salina appena schiusi. Decisi quindi di integrare queste quote di acidi grassi imbevendo i naupli di olio di fegato di merluzzo e di vitamine ad uso acquariologico. Con questo tipo d’alimentazione il problema sparì dopo circa due mesi. Durante questo periodo ho spostato i piccoli, oramai divenuti più grandicelli, in una nursery più grande costituita da una vaschetta per pesci rossi forata con un ferro rovente.
A mano a mano che i piccoli crescevano integravo la dieta con copepodi surgelati, sempre imbevuti nella miscela di olio di fegato di merluzzo e di vitamine, ma questo tipo di alimento lo accettavano solo se effettivamente affamati. In seguito, e precisamente dopo tre mesi, integrai ulteriormente la dieta con artemia salina adulta, per quattro volte il giorno, sempre imbevuta nell’intruglio polivitaminico e oleoso.I piccoli divenuti ora quasi adulti, non erano più a loro agio nella nursery in plexiglass per cui allestii una vaschetta tutta per loro di circa cinquanta litri tutta per loro.
Dopo altri cinque mesi, dei ventisei piccoli nati ne sopravvissero solo undici, giacché per la ben nota legge della natura, a volte terribile, gli avannotti più grandi e veloci hanno fatto morire d’inedia i fratelli più piccoli e lenti nel nutrirsi.Per circa sei mesi ho continuato a nutrire i piccoli con artemie congelate, mysis e pezzetti di gambero e cozze per due volte il giorno. E qui finisce il mio racconto e la mia avventura che spero di rinverdire, – magari chissà come? – con nuove esperienze da attuare nel mio nuovissimo acquario.
Notizie sulla mia vasca al momento della riproduzione – Dimensioni della vasca: 140 cm * 45 cm * 60 cm
Metodo di filtrazione: filtro biologico classico caricato con cannolicchi di ceramica ultraporosa, spugne, carbone e fibra di perlon; filtro sottosabbia con 4 pompe di movimento da 1200 l/h di cui due funzionavano di giorno, alternandosi ogni 6 ore, e due funzionavano di notte in modalità reverse; due filtri esterni EHEIM da 1200 litri orari di cui uno collegato ad un refrigeratore TECO RA 680 ed uno caricato con resine contro i fosfati e di spugne sintetiche.
Illuminazione: 5 neon T8 della CORALIFE di cui 2 super attinici e 3 del tipo 50/50 (50% attinico e 50% day light).
Metodo di conduzione: L’acqua della mia vasca veniva prodotta da un impianto della ROWA e ogni trenta giorni effettuavo un cambio d’acqua pari al 15% del volume della vasca. Contemporaneamente al cambio d’acqua sifonavo il fondo e cambiavo carbone, resine fosfati e immettevo colonie fresche di batteri nel filtro. Settimanalmente integravo oligoelementi, vitamine, calcio, stronzio, ferro, iodio con prodotti CORALIFE e successivamente RED SEA.
S c h e d a Classificazione tassonomica e morfologica del Pterapogon kauderni.
Famiglia: Apogonidae (“Ap-oh-gahn-id-ee” – Apogonidi).
Sottofamiglia: Apogoninae.
Ordine: Perciformes (Perciformi).
Classe: Actinopterigi (pesci con pinne raggiate).
Nome comune: Pesce Cardinale – Banggai Cardinalfish.
Dimensione massima: 8 cm.
Morfologia: Corpo molto appiattito, di forma quasi quadrata, grande bocca rivolta verso l’alto; pinne molto sviluppate, particolarmente la pinna dorsale che termina con un lungo filamento e la caudale fortemente bilobata.Livrea particolare, bianca o crema con tre righe verticali nere, pinne nere, ornate da puntini bianchi molto luminosi (v. foto).
Dimorfismo sessuale: non ben accentuato. I maschi adulti però hanno la mascella più squadrata e più grossa delle femmine il cui profilo è molto più arrotondato. Inoltre sempre i maschi hanno la seconda pinna dorsale molto più sviluppata delle femmine e hanno tre piccolissime spine nella regione anale, mentre le femmine ne hanno solo due.
Ambiente: demersale marino (demersale: dicasi di organismo – specialmente di pesci e specie ittiche – che vive normalmente in prossimità del fondo beneficiando, come nutrimento, delle forme viventi bentoniche).
Distribuzione: Pacifico centrale occidentale. Apparentemente limitato alle isole Banggai (Indonesia). Minacciato di estinzione a causa della raccolta intensiva per uso acquariofilo.
Biologia: Comune su fondi limosi in cui vivono le fanerogame marine (vere e proprie piante) della specie Enhalus acoroides, vivono in stretta vicinanza dei ricci della specie Diadema setosum. Gli individui, in numero da due a sessanta, si aggirano in prossimità delle spine dorsali dei ricci, ritirandosi fra di esse in caso di minaccia. Probabilmente si cibano di piccoli crostacei bentonici e/o planctonici.
Il maschio custodisce in bocca le uova (di dimensioni pari a 2,5 mm) che la femmina depone, fino alla schiusa dei piccoli (circa trenta per covata); il tutto per un periodo che va dai 25/30 giorni circa in cui non si alimenta e difende le larve fino al punto di mangiarle se dovesse sentirsi minacciato. Quindi libera i piccoli tra gli aculei dei ricci di mare Diadema.
Allevamento in vasca: pesce di abitudini crepuscolari o notturne che con la luce intensa diventa timido e pauroso. All’inizio per le citate abitudini è difficile da gestire, ma una volta acclimatato accetta cibo surgelato come artemie e mysis e in alcuni casi arriva anche ad accettare mangime secco in piccoli granuli. E’ un pesce gregario, timido e pacifico. E’ estremamente consigliabile per gli acquari di barriera, con invertebrati e piccoli pesci pacifici e lenti nel mangiare. Necessita di una vasca relativamente piccola con molti nascondigli ed anfratti, tra i quali si rifugia in caso di stress, e acqua ben filtrata ed aerata.Sono consigliabili regolari cambi dell’acqua, con sifonature del fondo; trattamenti con ozono ed aggiunte di oligoelementi e vitamine.